Fu un periodo strano nipote mio, alcuni parlarono come di una guerra ma fu una guerra diversa. Non spararono proiettili o caddero bombe, non fece macerie, anche se furono molte le macerie umane, e non si affrontarono eserciti ma ebbe i suoi morti, centinaia di migliaia di morti, in ogni parte del mondo, per questo forse fu la nostra Terza Guerra Mondiale. In alcuni paesi si contarono i caduti ma in altri chissà quanti furono.
Era dapprima una guerra che pensavamo lontana, una guerra che pensavamo bastasse girare il canale della televisione – che era una specie di schermo che all’epoca divulgava informazioni e programmi di intrattenimento – per lasciare quella guerra lontana.
Invece, la gente cominciò ad ammalarsi perché molti erano ammalati e non lo sapevano ma facevano così ammalare gli altri che venivano portati in ospedale dove faticavano sempre più a respirare e morivano.
Era una brutta morte, senza il conforto di un amico o un familiare che ti tenesse la mano o che ti accarezzasse il viso, era una morte in solitudine. Chi aveva potuto, prima di aggravarsi, aveva chiamato i propri cari anche grazie alla generosità di medici, infermieri e operatori sanitari che, oltre al loro straordinario lavoro, rischiando la vita col pericolo di contagiarsi a loro volta, accompagnavano quelle povere creature verso l’ultimo viaggio. Sui loro telefoni, per chi poteva ancora respirare, facevano far loro una video chiamata così ci si salutava per l’ultima volta attraverso uno schermo. Almeno così … si sentivano le lacrime.
Il personale sanitario e i volontari furono l’esercito di questa strana guerra. Anche tra loro i morti furono decine e poi centinaia i caduti nel paese e migliaia in tutto il mondo. E tutti li ringraziavano, le forze di polizia col saluto militare e chi con un applauso trasmesso in mondo visione mentre i morti aumentavano e lunghe colonne di camion militari ne portavano i corpi verso i forni crematori salutati con le bandiere a mezz’asta.
Per noi bambini invece all’inizio sembrò una festa perché per prime chiusero le scuole, e per noi erano vacanze extra, e un po’ ci rompeva che mamma e papà volessero vedere ogni giorno il bollettino di guerra con le centinaia di morti giornalieri nel nostro paese che diventavano migliaia e migliaia ogni giorno in tutto il mondo perché noi volevamo vedere la tv e giocare ai video game!
Poi, la settimana di vacanza divennero due, poi tre, poi quattro e chiusero le fabbriche, gli uffici, i ristoranti e bar, tutti a casa. E si vedevano le piazze e le strade dei nostri paesi improvvisamente deserti come se l’umanità intera avesse abbandonato il pianeta. Le acque tornarono limpide, gli animali giravano in centro e la natura cresceva ovunque.
Ma, per noi bambini, restò in fondo un periodo bellissimo perché mica tanto capivamo cosa stesse succedendo fuori della porta perché mica quello che vedevamo per tv pensavamo fossero cose poi vere. A casa avevo mamma e papà, che un po’ rompevano perché volevano che comunque studiassi quello che gli insegnanti mandavano per computer ma erano a casa e, nei momenti liberi, giocavamo assieme.
In questo periodo, inoltre, le persone tirarono fuori il meglio di se stessi. Alcuni cantavano dai balconi che noi vedevamo dai video che giravano e il giorno dopo chi sapeva suonare accompagnava chi sapeva cantare, chi con la chitarra, chi con la batteria e il sassofono e il trombone e il violino e i cantanti divennero veri e propri cori e i musicisti vere e proprie band e cantavano tutti assieme con le terrazze a fare da palcoscenici.
I vicini riscoprirono i vicini e chiamavano le persone che sapevano sole dalle finestre specie se anziane per accertarsi che stessero bene e chiacchieravano con loro per compagnia e se non le vedevano le chiamavano per telefono. Anche i nonni li sentivo solo per telefono, gli zii, i cugini e un po’ mi mancavano.
Intanto però, mentre si continuava a cantare e a ballare dai balconi perché in fondo tutti avevano paura della morte, negli ospedali si continuava a morire.
Poi, un giorno, dopo tante, tante settimane, ci dissero che potevamo cominciare ad uscire, prima solo per qualche ora, uno o due per famiglia ma sempre con guanti e mascherine e continuando a tenerci un po’ distanti gli uni dagli altri.
Infine, dopo circa un anno o poco più, trovarono il vaccino, l’arma per questa guerra e ci dissero che potevamo tornare a vivere fuori, togliere le maschere, togliere i guanti e vedessi, vedessi! Proprio come quando finiva una guerra persone estranee si abbracciavano per strada e si davano pacche sulle spalle e si stappavano le bottiglie di vino e si brindava in compagnia.
Fu una grande festa, una festa mondiale che durò per giorni e giorni. L’umanità intera imparò da quella guerra, o così mi piace pensare caro Stefano.
(Dedicato a mio figlio Cosimo e a tutti gli altri bambini e ragazzi di questo duemilaventi. Buona Pasqua)