C’era un tempo, un tempo che pensavamo peggiore di questo, in cui in quasi ogni testa e soprattutto nei sogni di ciascuno, c’era una società ideale cui tendere, sognare, lottare.
E la società ideale e legittima di ciascuno si confrontava e, a volte, scontrava con altre società ideali e comunque legittime in una moltitudine di altre teste, a volte, pure ancora violentemente nelle strade, ma quasi sempre, e per fortuna, la visione di mondo e società si consumava nell’arte della politica nelle sedi istituzionali perché troppe vite era costata la democrazia e, c’era da restare incantati ad ascoltare la guerra di parole, ma anche di gesti, sguardi e … silenzi.
Quei silenzi che parlavano, parlavano di donne e uomini forti sopravvissuti alla guerra, che avevano sepolto i propri compagni ma non avevano sepolto con loro i propri sogni, silenzi spietati che, a volte, avevano pure ucciso perché non fossero uccisi gli ideali.
Arte che si era affinata poi alla guida dei cortei per coloro che poi la gente, il popolo, spingeva plaudente sui palchi a parlare, arte che si completava con quella appresa a mediare nelle sedi di partito per poi essere spesso firmata nel corridoio attiguo della diplomazia politica che formava classi dirigenti con sogni diversi ma reciproco rispetto. E i sogni camminavano.
Oggi viviamo una società che si riempie di luci che non sanno illuminare i sogni, non sappiamo immaginare una strada, vedere una società ideale e tentare di viaggiare per raggiungerla, società impossibile ma che intanto senti che ti viaggia dentro. Perché dentro ci hanno già invaso e non servono le armi.
Oggi? Oggi manca un sogno per cui vivere e per cui lottare, un progetto a medio lungo termine da lasciare a nostri nipoti accompagnando i nostri figli. Figli ignari di un futuro che sappiamo senza speranza.